I Modelli 231 e gli obblighi di misure anticorruzione per i soggetti in controllo pubblico

di Sabina Bianchini | s.bianchini@beyondadvisory.it

Il 5 dicembre 2017 sono state pubblicate in gazzetta le “Nuove linee guida per l’attuazione della normativa in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza da parte delle società e degli enti di diritto privato controllati e partecipati dalle pubbliche amministrazioni e degli enti pubblici economici”, approvate dall’ANAC con deliberazione n. 1134 dell’8 novembre 2017.

Queste sono da intendersi totalmente sostitutive della determinazione n. 8 del 2015 della stessa ANAC – l’Autorità nazionale Anticorruzione e Appalti pubblici, avendo recepito gli ulteriori interventi legislativi nel frattempo intervenuti a integrazione e chiarimento del precedente quadro normativo.

Ci si riferisce in particolare al D.Lgs. 97/2016, correttivo della L. 190/2012 e del D.Lgs. 33/2013, ed al D.Lgs. 175/2016 (TUSP), come modificato dal D.Lgs. 100/2017. L’art. 41 del D.Lgs. 97/2016, aggiungendo il comma 2-bis all’art. 1 della L. 190/2012, ha previsto che tanto le pubbliche amministrazioni quanto gli “altri soggetti di cui all’art. 2-bis, comma 2, D.Lgs. 33/2013” (società in controllo pubblico), siano destinatari delle indicazioni contenute nel Piano Nazionale Anticorruzione (PNA), ma secondo un regime differenziato: mentre le prime sono tenute ad adottare un vero e proprio Piano Triennale di Prevenzione della Corruzione (PTPC), le seconde devono adottare “misure integrative di quelle adottate ai sensi del D.Lgs. 231/2001”.

Per la definizione di società a controllo pubblico, l’art. 2 bis, co 2, lett. b) del D.Lgs 33/2013 rinvia al D.Lgs. 175/2016 “Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica”, in ragione della diversa e più ampia nozione di controllo presa in considerazione, ossia quella definita dall’art. 2359 c.c. In particolare, per identificare le “società a controllo pubblico”, cosi come chiarito anche di magistrati contabili della Liguria con la deliberazione 3/2018, pubblicata sul sito della sezione regionale di controllo il 26 gennaio 2018, hanno evidenziato che, in virtù del combinato disposto delle lettere b) ed m) dell’art. 2 del d.lgs. n. 175/2016, devono essere qualificate come “società a controllo pubblico” quelle in cui “una o più” amministrazioni dispongono dei voti o dei poteri indicati nell’art. 2359, numeri 1), 2) e 3) del codice civile, ovvero quando:

1)      si dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria;

2)      si dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria;

3)      una società è sotto influenza dominante di un’altra (o, va aggiunto, di un ente pubblico o altro soggetto giuridico) in virtù di particolari vincoli contrattuali.

A queste, si aggiunge la fattispecie, ulteriore e autonoma, indicata al secondo periodo della lett. b) dell’art. 2 del d.lgs. 175/2016 secondo cui il controllo sussiste “anche quando, in applicazione di norme di legge o statutarie o di patti parasociali, per le decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all’attività sociale è richiesto il consenso unanime di tutte le parti che condividono il controllo”.

Con riguardo al regime di trasparenza, considerato il quadro normativo sopra delineato, per le società in controllo pubblico le linee guida ANAC prevedono l’attuazione entro il 31 luglio 2018, salvo possibile riallineamento entro il 31 gennaio 2019.

In base alle stesse le linee guida ANAC sono state escluse dagli adempimenti suddetti le società a partecipazione pubblica con azioni quotate o con strumenti finanziari quotati in mercati regolamentati, già sottoposte a un sistema di obblighi e di sanzioni autonomo. Al riguardo, inoltre, in base alla determina del 2015 tale esclusione era stata esplicitamente estesa anche alle società “controllate” da queste, sebbene le nuove disposizioni ANAC del 2017, che superano quelle del 2015, tale precisazione esplicita è stata eliminata lasciando certamente un dubbio intepretativo da non poco conto, facendo peraltro propendere più per un obbligo di adozione.

Ad ogni modo quello che viene fissato dalla nuove linee guida è che le società in controllo pubblico cosi come definite dal D.Lgs. 175/2016 devono adottare misure idonee a prevenire i fenomeni di corruzione e di illegalità in coerenza con le finalità della L. 190/2012 e, ove adottato il Modello 231, queste devono essere integrate allo stesso documento in apposita sezione.

Infatti occorre distinguere:

  • se le società in controllo pubblico hanno adottato il Modello 231, è necessario integrare lo stesso con misure anticorruzione collocate in una “sezione apposita”;
  • se tali soggetti, invece, non hanno adottato il Modello 231, devono adottare obbligatoriamente un documento unitario contenente le misure anticorruzione, che tenga luogo del Piano di Prevenzione della Corruzione.

Quanto alla tipologia dei reati da prevenire, mentre il D.Lgs. 231/2001 ha riguardo ai reati commessi nell’interesse o a vantaggio della società o che comunque siano stati commessi anche e nell’interesse di questa, la L.190/2012 è volta a prevenire anche i reati commessi in danno della società.

In conclusione, occorre comunque precisare che il comma 2-bis dell’art. 1 L.190/2012, introdotto dal D.Lgs. 97/2016, ha reso obbligatoria l’adozione delle misure integrative del modello 231, ma non ha reso obbligatoria l’adozione del modello medesimo, a pena di un’alterazione dell’impostazione stessa del D.Lgs. 231/2001. Certo è che anche l’adozione del Modello 231, ove la società a controllo pubblico non vi abbia già provveduto, è, però, fortemente raccomandata, almeno contestualmente alle misure organizzative anticorruzione. Le società che decidano di non adottare il modello 231 e di limitarsi all’adozione del documento contenente le misure anticorruzione dovranno, infatti, motivare tale decisione.

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